Du er ikke logget ind
Beskrivelse
Sarebbe stato, questo libro, nient'altro che una interessante galleria di casi clinici se l'autore on avesse deciso di abbandonare per un momento il "Mondocomio" ed entrare in prima persona nel "Manicomio", fissando il punto di vista della narrazione nella mente lucida e consapevole, nella contemporaneit?, di un personaggio che non ricorda il passato.
Michele Loreto, l'autore di Caput dolente, ci racconta di una dimensione, quella del manicomio, che appare "come l'enorme distesa d'acqua degli oceani, sottoposta al magnetismo dell'universo, costantemente mossa dalle forze del vento che la increspano e la sollevano in onde possenti e paurose ma di meravigliosa bellezza".
Di fronte - ma forse ? meglio dire "accanto" - il "Mondocomio", l'apparente normalit?, priva di fascino, che colpisce gli umani e condiziona le loro esistenze con fenomeni cos? tanto disumani da poter essere considerati alla stregua dei disturbi della mente gi? scientificamente catalogati: la Jihad e, nel passato, "le Crociate, la Shoah, l'eccidio ottomano, Auschwitz, Sarajevo..."
Ecco allora che i "casi clinici" di cui si diceva diventano letteratura e non solo nel senso di "finzione letteraria". Si trasformamo in eventi della vita, esemplari, nella loro diversit?, di una condizione dolorosa dell'esistenza che coinvolge tutto il genere umano.
Il confine tra manicomio e mondocomio viene spesso superato dall'una e dall'altra parte. Gli abitanti dello "Stabilimento", gi? schedati per patologie gravi, diventano attori di gesti di umanit? sorprendente. I cittadini dell'altra parte, segnati all'anagrafe come normodotati, stupiscono per azioni che evidenziano specificit? patologiche non meno gravi di chi vive nel manicomio o, almeno, per pensieri e tensioni talmente egoistiche edisturbate da sembrare non umane.
Il confronto tra i due mondi, serrato e incalzante, produce una lunga serie di riflessioni che l'autore sottopone al lettore come fossero verit? trovate che necessitano di una condivisione importante: "La felicit? ? nell'amare se stessi, nell'essere soddisfatti delle caratteristiche proprie di ognuno di noi, dell'essere persone giuste in grado di combattere per ideali universali".
Il ricordo di esperienze cicliche, come quello delle festivit? natalizie, appare allora come una realt? cruda che delude umanamente: "La fragilit? delle nostre esperienze si prendeva la rivincita e, per un qualche mistero delle relazioni umane, si liberava dal dolore e si lasciava sedurre da una gioia malinconica e audace che riportava ognuno di noi a una cultura che, nel suo rievocarsi una sola volta l'anno, si riprendeva la solitudine del sigolo per riabbracciarlo come elemento della collettivit?. Ci sentivamo buoni non perch? una regola ci dicesse di esserlo ma solo per la ragione che sentirci buoni ci faceva sentire meglio".
Cos?, il protagonista del libro vive unicamente la consapevolezza del presente e in ci? trova una serena normalit?, un fluire senza intoppi che aveva forse desiderato quando viveva fuori dallo "Stabilimento" "Essere uno degli abitanti del Manicomio mi faceva sentire come un pesce nella sua bolla a osservare la vita reale dietro un vetro deformante e la malinconia per la vita mi appariva pi? importante della vita stessa. Al punto da credere che la vita che ormai avevo dimenticato non avrebbe potuto essere stata niente altro che una serie di miserabili insuccessi di cui, forse, la tristezza era la vera causa, compresa la mia dimenticanza".
Dicevamo, all'inizio, che Caput dolente sarebbe stato nient'altro che una galleria di casi clinici se Michele Loreto non avesse voluto con umanit?, e non soltanto con scienza, penetrare nella vita e nel dolore profondo delle tante persone che descrive e abbraccia. C'? lo scrittore che narra e il poeta che coglie la "bellezza" nei materiali pi? desueti, negli scarti.